Immobile, qui sto, come un baco sul balcone
mentre lenta s’immilla l’attesa
per la rivalsa furiosa d’ombre,
dietro maschere di nebbie e sabbie
dolci come ilarotragedie nella mente,
inghiottendo nebbia a sfinirmi
sino a riempirmene i polmoni.
Tesso sogni e drammi, tessere d’enimmi,
frattanto afasie bastarde come ciarle
crescono in me, sfatando visioni
del mio universo che brucia
come brucia la luce estiva di passo.
Io, sfinito, pronto a divenire luce
per essere notte che sempre intesi.
Notte d’otto colonne sogno,
sprigionando inchiostro in stasi di lume,
a illuminare stagioni
di rondò in do maggiore.
E ora, solo, sull’orlo della fine,
con un sole di cura nel cuore,
ripenso a quel volo sullo strapiombo
a gridar: “Io sono la nebbia, la foglia
non più verde, cosciente d’esser già morta”.
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